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"I casi difficili" a scuola: il sapere degli insegnanti

Ecco le prime anticipazioni della ricerca sulle modalità con cui gli insegnanti trentini affrontano i “casi difficili”. Obiettivo: sostenerli nel loro mestiere e creare un sapere strutturato di riferimento

“La scuola – secondo la professoressa Luigina Mortari direttrice del Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Verona - è la fucina di cultura della comunità, ma per continuare a mantenere questa funzione ha bisogno di poter disporre di risorse umane e di pensiero. Risorse che in effetti mancano; gli insegnanti di classe (quindi non quelli di sostegno) non hanno un sapere strutturato di riferimento per affrontare i cosiddetti “casi difficili” della classe, ma procedono per tentativi.” Fra i “casi di disagio” emersi nel corso della ricerca il 46,3% sono di tipo relazionale, cioè bambini che urlano, che escono dalla classe, che strattonano i compagni o che dicono parolacce. Il 32,1% sono casi di difficoltà cognitiva, non certificati, come i disturbi dell'attenzione o le difficoltà nell'affrontare un testo. Infine, il 9,6% sono casi di bambini con difficoltà emotive e affettive, cioè incapaci di equilibrare le proprie emozioni. “Per svolgere la ricerca – spiega la professoressa - abbiamo scelto zone che rappresentassero la totalità del Trentino, quindi sia urbane che di valle. Abbiamo iniziato con una fase esplorativa tramite dei questionari (1000 quelli raccolti) ed abbiamo poi approfondito le singole problematicità emerse con oltre 100 insegnanti. Le storie che abbiamo ascoltato sono fondamentali perché il sapere esperienziale si deposita in maniera narrativa, dando così vita a “casi educativi”, a cui gli insegnanti in futuro potranno attingere per affrontare le difficoltà”. “La ricerca attraverso la narrazione – continua la Mortari - è stata poi integrata dall'analisi paradigmatica che va a verificare se nei casi individuati ci sono delle somiglianze, delle strategie comuni per affrontare determinati problemi, come ad esempio i disturbi emotivi e affettivi. Non avendo letteratura di riferimento, gli insegnanti dedicano molto tempo all'osservazione dei bambini e alla raccolta di informazioni, si mettono in contatto con la famiglia (anche recandosi a casa di persona) e in alcuni casi mettendosi in contatto con i servizi competenti, come gli assistenti sociali. Un lavoro spesso gratuito in termini di tempo.” Fra le preoccupazioni più grandi degli insegnanti, emerge quella di riuscire “a catturare lo sguardo dei bambini” e di “trovare la strada per (ri)portarlo in classe. La ricerca, oltre ai casi educativi e al lavoro svolto con e su gli insegnanti, mette anche a disposizione dei docenti tutta la letteratura esistente sui casi difficili, individuata dai ricercatori grazie ad un'analisi sistematica che ha cercato ed individuato le ricerche basate su delle evidenze pratiche. “L’analisi – ha spiegato Arduino Salatin, direttore dell'PRASE (l'Istituto Provinciale per la Ricerca e la Sperimentazione Educativa) – è stata svolta coinvolgendo oltre 1000 insegnanti delle scuole primarie e secondarie di primo grado. I dati sono ancora in fase di elaborazione e saranno divulgati sia con una pubblicazione cartacea, sia scaricabile dal sito dell'IPRASE.”

Data di pubblicazione
26/09/2011
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Pubblicato il: Lunedì, 26 Settembre 2011 - Ultima modifica: Giovedì, 08 Marzo 2018

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